Niccolò dell'Isola

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Niccolò dell'Isola (Isola del Gran Sasso, 1230 circa – L'Aquila, 1293) è stato un militare italiano, personaggio centrale della storia dell'Aquila nel XIII secolo.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nativo di Isola del Gran Sasso, al tempo sotto il controllo della diocesi di Penne,[1] Niccolò arrivò all'Aquila all'incirca intorno al 1270, diventandone cittadino.[2] Secondo il racconto del cronista Buccio di Ranallo, egli venne chiamato dai cittadini aquilani a difendere gli stessi sia dall'eccessivo fiscalismo angioino, sia dai soprusi dei baroni feudali.[2]

In breve periodo Niccolò acquisì un prestigio del tutto simile a quello del capitano regio. Probabilmente fu eretto in suo onore anche un monumento poiché vi è documentazione di un'epigrafe, datata al 1284, che lo definisce «pater patrie et Aquilane civitatis defensor»;[3] era inoltre chiamato «cavalero del popolu». Inizialmente ebbe la compiacenza di Carlo II di Napoli ma, a partire dal 1292, la sua posizione cominciò a diventare delicata.[2] In chiave anti-aristocratica, cominciò a criticare l'esistenza di castelli nel contado, indicandoli come un pericolo per il futuro dell'Aquila — che era sorta alla metà del XIII secolo proprio dall'unione di più villaggi in un'unica città — e chiamò i cittadini alla loro distruzione;[2] una volta compiuta l'impresa, rientrò in città acclamato e portato in trionfo.[4]

La nobiltà locale, fortemente minacciata dal potere di Niccolò, si rivolse a Carlo II e il sovrano, anch'esso preoccupato dall'enorme consenso popolare di cui godeva il condottiero, inviò Carlo Martello d'Angiò, suo figlio, a riprendere il controllo della città;[2] il 10 luglio 1293, all'arrivo delle truppe all'Aquila, Niccolò dall'Isola si presentò però con tremila seguaci e convinse Carlo Martello a desistere dall'opera.[3] Carlo II inviò dunque Gentile di Sangro, già capitano di città, per ucciderlo, ma questi, resosi conto dell'impossibilità di avere un duello, decise di avvelenarlo.[3]

Niccolò morì tra lo sgomento degli aquilani, in una data imprecisata anteriore al 12 agosto 1293.[2] Rappresentò il primo esempio di guida personale in una città che, seppur sottoposta a una forte monarchia, nutriva ambizioni di autonomia di stampo popolare, come dimostrerà l'affermazione di Pietro Lalle Camponeschi nel XV secolo.[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]